Nostalgia. Antropologia di un sentimento del presente di Vito Teti

    Maria Grazia Caso

    Nostalgia. Antropologia di un sentimento del presente

    Edizioni Marietti 1820

    Collana Le Giraffe,  2020

    Riprendiamo una pubblicazione del prof. Vito  Tetti pubblicato  sulla pagina social  “Schegge di Umiltà ”

    Il termine nostalgia nasce nella seconda metà del XVII secolo per categorizzare nella sua dimensione psichica il desiderio di ritorno alla patria – quindi il desiderio di restare là dove si è nati – da parte dei soldati di ventura svizzeri che, a seguito di un’afflizione melanconica cronica, erano colpiti da disturbi fisici e mentali la cui intensità poteva condurre alla morte. Nel 1688 da Johannes Hofer (2018), un giovane studente alsaziano di medicina, all’Università di Basilea, crea il nuovo termine attraverso la composizione di due costituenti: nostos (nell’Odissea indicava il ritorno degli Achei) e algos (dolore. tristezza).
    I giovani militari refrattari ad ogni forma di adattamento agli usi e ai modi di vivere stranieri e presi dal tedio dell’aria straniera, pensavano ossessivamente al ritorno in patria e bastava prospettare la possibilità di ritorno nelle sue vallate alpine per rigenerarsi, per immaginare legami che si rinsaldano, odori che richiamano esistenze interrotte. La nostalgia, nei periodi successivi – e la letteratura è davvero vasta – sfuma nelle sue rideterminazioni e mostra la sua dimensione articolata, complessa. Coesistono e costruiscono un sistema ideologico tante forme di nostalgia: una nostalgia regressiva e una progressiva, una utopica e una retrotopica, una vera e una simulata, una falsa e una autentica, una che rovina e l’altra che rigenera, una conservativa e l’altra oppositiva, una che si adatta allo status quo e l’altra che diventa critica del presente. Nel tempo si innesta un paradosso: restare, paradossalmente, sembra una condizione desiderabile, tranquilla, pacificata, in un mondo in dispersione e in dissoluzione. La nostalgia degli emigrati, dei partiti e dei rimasti svela che il desiderio che nutre il sentimento del nostalgico non più il ritorno al luogo lasciato o perduto, ma la riappropriazione del sé inveratosi nel tempo passato. E allora la nostalgia diventa un sentimento bifronte da cui non è possibile guarire e non riguarda soltanto chi è partito, ma anche chi è rimasto e sopravvissuto all’esplosione di un mondo e dei suoi disattesi orizzonti ancestrali. Kant nella sua Antropologia dal punto di vista pragmatico (1970) aveva già notato che gli svizzeri che non facevano altro che pensare al ritorno, immaginando i luoghi della spensieratezza, delle gioie semplici e delle liete compagnie della gioventù, e anche quando fanno ritorno in quei luoghi, se ne restano delusi e quindi non guariti: credono che ci. dipenda dal fatto che in quei luoghi tutto è cambiato, ma in realtà perché non vi ritrovano più la loro giovinezza. La nostalgia e il rimpianto sono immediati e immotivati, dismesso il conforto giustificazionista della ragione. L’oggetto della nostalgia, come ricorda Jankélévitch (2009), non è questo o quel passato bensì il fatto del passato, la passatità che si situa rispetto al passato nello stesso rapporto della temporalità con il tempo. Perfino chi resta non resta fino in fondo e fatica a comprenderlo. Non esiste sradicamento più radicale di chi vive esiliato in patria e combatte una lotta quotidiana, fatta di piccoli gesti per salvaguardare e proteggere i luoghi che potrebbero essergli sottratti non da chi arriva da fuori, ma da chi vi abita dentro come un’anima morta.Incertezza, fragilità, insicurezze, paure hanno mostrato che il mito della globalizzazione è sato, dopo il Covid e con la consapevolezza della crisi climatica lentamente sostituito dalla riscoperta delle piccole patrie, da un confuso e incerto ritorno al locale, da una inedita tendenza a restare, vissuta non solo come una necessità, un obbligo, una scelta conveniente o di comodità, bensì come una scelta consapevole e responsabile, come un atto di amore e una rivendicazione di appartenenza, un bisogno di presenza e di un nuovo rapporto con i luoghi. La “restanza”, come scelta innovativa e rivoluzionaria, come nuovo sentimento dell’abitare e di creare nuove comunità, si presenta – bisogna decostruire però tutte le retoriche e le enfasi – come un sentimento individuale, una scelta privata ( potrei fare riferimento a un’infinità di mail, sms ecc. che ricevo quotidianamente) ma anche come un movimento civile, culturale e “politico” di resistenza, anche di opposizione a un declino che potrebbe portare allo spopolamento dei luoghi. E non è un caso che oggi si vada affermando e sostenendo, con forza e con persuasione, accanto al diritto di immigrare anche il diritto di restare. Le due esperienze vanno comprese sempre tenendo conto dei contesti ambientali e storici in cui si svolgono. Appare davvero difficile separare il migrare e il partire dal restare perché partenza o attesa, scelta di restare o di partire, fuga definitiva o ritorno, pur nella polarizzazione dilemmatica in cui si incardinano, hanno costruito nuove mentalità e, sempre, nuove identità, si sono costituiti come poli dialettici di accrescimento conoscitivo. Partire e restare spesso convivono nello stesso individuo, che si sente sempre lacerato, sospeso, a “mezza parete”, inquieto, spaesato sia quando resta che quando parte. Molti conoscono la lacerante situazione di non essere né qui né altrove, di essere in bilico tra due mondi, di considerarsi sempre straniero, in esilio, altrove.
    Credo che il termine nostalgia possa tornare utile per comprendere non solo il dolore, la sofferenza, l’angoscia, lo spaesamento di chi si sposta e si trasferisce altrove, ma anche i controversi sentimenti di appartenenza, la bellezza, la scelta etica e le asprezze emotive e affettive di chi resta. Proviamo ad accennare come emigrare e restare abbiano assunto diverse connotazioni e singolari sovrapposizioni.

    Vito Teti  professore ordinario di antropologia culturale all’Università della Calabria, dove ha fondato e dirige il Centro di iniziative e ricerche Antropologie e Letterature del Mediterraneo. Tra le sue pubblicazioni: Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei paesi abbandonati (Donzelli, 2004; 3a ed. 2014); Storia del peperoncino. Un protagonista delle culture mediterranee (Donzelli, 2007); Maledetto Sud (Einaudi, 2013); Quel che resta. L’Italia dei paesi, tra abbandoni e ritorni (Donzelli, 2017); Il vampiro e la melanconia. Miti, storie, immaginazioni (Donzelli, 2018).