Nel segno della divina Syké. I fichi bianchi del Cilento

    Maria Grazia Caso

    Nella mitologia greca il fico era un frutto sacro a Dionisio come anche a Priapo quale dio della fecondità. Della sua coltura ne parlano ampiamente Archiloco (VII sec. a. C.) a Paros (Grecia), Aristotele, Teofrasto e Discoride. Una leggenda racconta che l’albero di fico nacque dalla madre Terra quando il titano Siceo per sfuggire all’ira di Zeus  si rifugio’ presso di lei. Il nome della pianta deriva da una divina fanciulla Syké in (in greco e’ il fico), i cui genitori furono capostipiti del mondo vegetale. Nel mediterraneo Sykè ha diffuso la sua specie, di queste antiche piante ne esistono molteplici varietà, e nel Cilento si trova la varietà considerata pregiata per l’essiccazione e la conservazione. La storia del fico bianco, in questo angolo di mondo mediterraneo, ricco di storie e leggende, qual è il Cilento, è interessante come fattore d’identità culturale. Il fico bianco del Cilento DOP è ottenuto da frutteti della cultivar “dottato”. La sua denominazione  è dovuta al colore giallo chiaro uniforme della buccia dei frutti essiccati. La polpa è di consistenza pastosa e dal gusto dolce caratteristiche che le conferiscono i tratti distintivi che qualificano il prodotto tra le eccellenze. Le origini così antiche e l’esistenza di realtà artigianali nel territorio hanno reso la loro produzione un’ attività radicata che si è trasformata, nel corso del tempo in attività commerciale di presenza locale.Nella tradizione rurale la raccolta dei fichi freschi avviene ad Agosto .In piena estate i fichi venivano accuratamente raccolti sugli alberi e successivamente disposti su graticci di ginestre intrecciate, in gergo dialettale chiamati “inestre”, per favorirne la ventilazione e l’ insaporimento dei frutti.  Successivamente venivano messi ad essiccare al sole. Una specialità tipica di Prignano Cilento è caratterizzata dal fico secco “pelato “ a cui veniva  tolta la scorza esterna prima dell’essiccazione al sole comunemente noti sul territorio come fichi “mmunnati.”

    Nel mese di Settembre, dopo una sapiente e accurata selezione che consisteva nella scelta e nella pulitura dei fichi secchi diventati bianchi, per essere infine trasportati, nei laboratori artigianali per la trasformazione.Il lavoro artigianale richiede cura e abilità, e in passato veniva affidato alla sola forza della donne che dovevano selezionare ulteriormente i fichi secchi scegliendo i migliori per la lavorazione.  I fichi venivano poi pressati con la forza delle mani per assumere una forma schiacciata . Le “incollettatrici”, questo era il termine usato per le donne  impiegate nella lavorazione dei fichi secchi  da Settembre a Dicembre. Nelle realtà rurali dei paesi del  Cilento la lavorazione stagionale dei fichi serviva a sollevare le necessità economiche della famiglie contadine. La trasformazione dei fichi secchi nei laboratori artigianali spaziava dal  “fico pelato ai fichi ‘mpaccati che venivano schiacciati , spaccati,  farciti di mandorle e semi di finocchio o piccoli pezzi di buccie di agrumi  e infine  infornati.  Secondo la tradizione artigianale i fichi venivano infilati con delle stecche di legno creando così una doppia fila e componendo delle forme particolari .  Le classiche “spatole” o “mostaccioli. Queste tecniche di lavorazione artigianale  sono oggi portate avanti da diverse aziende locali ma tra queste l’attenzione va rivolta  soprattutto a quelle che ancora producono e trasformano il fico “dottato bianco del Cilento, certificato DOP.

    Tra le eccellenze creative del territorio  una menzione speciale va al laboratorio di pasticceria agricola di Pietro Macellaro  di Piaggine (SA) con il suo panettone artigianale al Fico Bianco e Cioccolato utilizza esclusivamente fichi bianchi del Cilento.