La Ritornanza

    Maria Grazia Caso

    Testo di Lucio Capo*

    foto CantieriVisivi

    Parafrasando Giacomo Leopardi “Io ritorno al natio borgo selvaggio e mi allontano dalla gretta gente”.

    In tempo di corona virus, non solo i poeti ma anche gli architetti auspicano un ritorno al paesello natale. Le grandi archistar italiane hanno sentenziato di un ritorno al borgo natio. Stefano Boeri, Massimiliano Fuksas e Renzo Piano, teorizzano il ritorno al passato,  per un avvenire di vita e di socialità nei piccoli borghi. Un’idea niente affatto peregrina, come ci ricorda un altro grande maestro dell’architettura contemporanea Rem Koolhaas, con la mostra Countryside The Future”al Museo Guggenheim di New York.

    I piccoli borghi esistono, vivono, sono lì, e, seppur abbandonati combattono insieme a noi, per un nuovo umanesimo, che fa della lentezza e del silenzio la matrice esistenziale in cui vivere oggi, domani e sempre. C’è un futuro nei borghi? Forse si! Ma senza cemento, asfalto e spreco di soldi pubblici per infrastrutture inutili, sembra banale ma è meglio ribadirlo sempre e con forza.

    Ma per vivere nei piccoli borghi c’è bisogno di una fiscalità di vantaggio, della banda ultralarga, di un territorio sicuro e sano, di trasporti efficaci e puntuali. I piccoli borghi non aspettano altro che di essere abitati e rivitalizzati. Torna stu’ borgo aspetta te! Bisogna uscire dalle metropoli ed occupare tutti i  luoghi, tutti i centri storici abbandonati, farsi cullare dalle antiche architetture e dal tradizionale lavoro nei campi, convincersi che nei piccoli paesi si materializza il futuro. I piccoli borghi, tra passato e futuro, sono l’emblema di un nuovo umanesimo, però hanno bisogno di un piano nazionale. Un essere umano senza spina dorsale, sarà costretto a vivere per sempre su una sedia a rotelle. L’Italia senza i piccoli borghi, sarà costretta a vivere una vita senza futuro. I piccoli borghi, sono la spina dorsale del Paese. Luoghi dove la vita ha il sapore della riscoperta, profumata di terra brulla e di sentor di zagara. Sono luoghi della poesia e della memoria,  dell’artigianato fatto ad arte e dell’agricoltura buona, sana e giusta, della biodiversità e del paesaggio.

    I borghi arroccati sulle montagne o distesi al sole, tra sabbia, sale e mare, sono caleidoscopi di variegate e diversificate identità.

    Borghi agricoli delle terre bonificate, ruralità recuperata per affrancarsi dalle baronie feudali, che dagli anni ’50 hanno creato sviluppo e benessere in aree da sempre depresse. Tolte tutte le condizionalità negative odierne, come le monocolture e la iper-zootecnia, i borghi rurali sono una autentica miniera da un punto di vista turistico. Possono essere riconvertiti in attività   agrituristiche e B&B , in centri culturali e colturali, in produzioni agricole ed artigianali di qualità. Borghi rurali come poli-natura, in grado di ricomporre un vero contatto emozionale con la campagna, assolata e calda d’estate, brumosa e fredda d’inverno.

     

    I borghi agricoli delle pianure bonificate, ci ricordano che quando si è voluto e potuto, si è operato con testo e contesto, si è dato sfogo ad una visione lungimirante, si è progettato un futuro d’opportunità, in parte disattese…ma questa è un altra storia, che sarà pur bene raccontare. Per progettare il futuro servono i fatti e i fatti hanno bisogno di numeri, e, noi incominciamo a dare i numeri. Massimo Troisi rincominciò da tre, noi più modestamente dovremmo ricominciare dai piccoli borghi. Ritornare da dove eravamo partiti. Vado a vivere in montagna, in campagna, in tutti i luoghi in tutti i laghi, visto che al posto dei verdi prati, sono spuntati palazzoni di cemento e ferro di trenta piani. Poi come succede nei periodi di resipiscenza, costruiamo boschi verticali con terrazze e balconate fiorite ed alberate. Forse bisognerebbe pensare ai centri storici dei piccoli borghi, come corpo vivo di una memoria architettonica da salvare dal cemento, dall’intonaco e dall’alluminio anodizzato.

    Ora mentre i borghi di montagna e di collina sono diventati miserevoli discariche di artefatti abusivi, paradigma dell’architettura post-modernista del fai da te. I borghi rurali delle pianure bonificate, sono diventati melmose discariche di letame e bufale. I piccoli e bianchi poderi della riforma fondiaria, con su scritto sul frontespizio il nome del Santo Protettore, sono diventati irriconoscibili. Foss’anche ne fosse rimasto uno intiero ed originale, già si profila l’uopo di trasformarlo in una casamatta. Vado a vivere in campagna, in collina, in montagna, se solo ci fossero le indicazioni stradali. Borghi isolati e disabitati, li raggiungerei, se solo agli incroci stradali ci fossero le indicazione che mi indichino la via. Piccoli borghi, presepi di piccole case, di piccole cose, abbandonati dagli uomini, dagli Dei e dalle istituzioni. Di borghi abbandonati e desaparesidi in Italia ce ne stanno a caterve, a quintali, a migliaia.

     

    Borghi come musei a cielo aperto, fonte di vita a cui abbeverarsi, migliaia di musei a cui aggiungerne altri e altri ancora, come suggeriva Luigi Necco in occasione della commemorazione del Sen. Umberto Zanotti Bianco, che insieme alla Dott.essa Paola Zancani Montuoro, scoprì il Santuario di Hera Argiva al Sele. Sono 5.000 i piccoli comuni deserti e cadenti, ma nessuno se ne fotte. Sono centinaia i milioni di euro messi a disposizione dei Sindaci per rivitalizzarli. Fondi messi lì ma nessuno li utilizza, i nostri amministratori sono incapaci e impotenti, incapaci nell’accedervi e imponenti nel prenderli. Se gli amministratori locali non sono capaci di accedere ai fondi strutturali, che pur ci sono, la soluzione potrebbe essere quella di vendere il proprio paesello ai privati. Milioni di euro messi a disposizione dal governo per dare nuova vita ai piccoli borghi, e mai utilizzati. Eppure sarebbe semplice fare un progetto che preveda l’eliminazione degli infissi in alluminio, il ripristino delle facciate antiche, l’eliminazione degli abusi edilizi e degli scheletri di cemento che infestano i centri storici e le campagne, recuperare i vecchi mestieri e le antiche pratiche agro-silvo-pastorali, tutto ammantato dalle nuove tecnologie e dai nuovi saperi. Ma tutto questo Alice non lo sà e men che meno il Sindaco. In Italia esistono 6.000 borghi con meno di 5.000 abitanti, vi abitano 10milioni di persone. Nel 2017 i borghi italiani hanno registrato un vero e proprio boom turistico, con circa 8 miliardi di euro di fatturato. Mentre le città ribollono di manifestazioni e rivolte, gli antichi borghi su per i pendii e le valli sonnecchiano placidi e inconsapevoli. Ricominciamo da tre, aria pulita, cibo sano e lento pedalare. Riprendiamo la strada del ritorno a casa. Ritornare alle origini, però con animo nuovo e gentile, ripartire con amore e sentimento, con più rispetto per se stessi e per gli altri, con la consapevolezza che non siamo padroni dell’universo, ma abitanti della Terra alla pari con gli altri esseri viventi, conviventi con la flora e la fauna. C’era una volta un borgo e c’è ancora, ci sarà di nuovo, basta solo farlo rivivere, amarlo e possederlo.

    Lucio Capo* Giornalista, libero pensatore, profeta di una nuova rivoluzione culturale che pone al centro la ritornanza.