Il cibo nell’arte moderna e contemporanea. Una visione etica e sostenibile dell’alimentazione raccontata con la sensibilità degli artisti di Stefano D’Alessandro

    Maria Grazia Caso

    Il cibo è un elemento essenziale alla vita, e per questa ovvia ragione ha sempre avuto un ruolo da co-protagonista nelle vicende dell’umanità, così come nella definizione degli aspetti culturali e identitari di popoli e nazioni.
    Le medesime motivazioni sono alla base della sua costante presenza nella storia dell’arte occidentale. Già in epoca ellenistica e romana, infatti, l’importanza dell’alimentazione in tutte le sue sfaccettature era chiara agli artisti, che ne valorizzavano in particolar modo gli aspetti di convivialità, legati ai sontuosi banchetti, ma anche sacrali, enfatizzando proprio la rilevanza del cibo come fonte di nutrimento e sostentamento indispensabile per la vita.

    Le nature morte che campeggiano sulle pareti dipinte o sui mosaici pavimentali delle ville romane sono dunque testimonianza del forte legame esistente tra gli antichi e i loro riti alimentari.
    Dopo un lungo periodo in cui il cibo, pur rimanendo presente nella pittura, si limita ad essere elemento di contorno, oppure utilizzato in chiave unicamente simbolica, in scene religiose o nella ritrattistica, esso torna protagonista nel ‘600 grazie al successo del genere della natura morta. Sebbene la riproduzione fedele di frutta, ortaggi, selvaggina e altri alimenti era a volte un mero escamotage per mostrare allo spettatore l’abilità tecnica del pittore, esibita in composizioni piene di dettagli e virtuosismi, non mancano anche esempi in cui il cibo torna a farsi veicolo di significati simbolici importanti, come nella celebre Canestra di frutta del Caravaggio, dove la rappresentazione realistica e non idealistica dei frutti, con le loro imperfezioni e gli inevitabili segni del tempo che passa, assurge ad allegoria della caducità dell’esistenza.


    Ma le vicende del cibo nell’arte non terminano con l’esaurirsi della grande stagione delle nature morte; anzi, esso continua a venire valorizzato in tutti i suoi aspetti, alti e prosaici, dall’arte moderna e contemporanea. Attraverso le poetiche e le opere di tre artisti, diversi fra loro per epoche e stili, vogliamo evidenziare proprio il modo in cui personalità differenti fra loro sono riuscite ad offrire la loro personalissima visione su un argomento universale come il cibo

    Vincent Van Gogh – I mangiatori di patate

    Alla fine dell’800, Vincent Van Gogh si fa portatore di un’arte nuova, disposta a rompere gli schemi e a superare le ormai consolidate precedenti convinzioni sulla pittura. Artista eccentrico non solo per la sua travagliata esistenza, il suo stile rimarrà sempre difficile da incasellare in una specifica corrente o tendenza; più che altro la sua produzione, composta non solo dai suoi ormai celebri dipinti, ma da moltissimi disegni, sarà contraddistinta da un’estrema libertà tematica, tecnica e compositiva, che faranno di lui una figura di collegamento fra l’impressionismo e i protagonisti delle avanguardie della prima metà del ‘900.
    Ma è dal realismo che parte il giovane Vincent; nei pittori della scuola di Barbizon si ritrova per la volontà di ritrarre i poveri, gli ultimi. E’ anche per questo che, nelle scene del primo periodo della sua produzione, spesso ambientate in interni modesti, sulla tavola non vi sono mai pietanze prelibate, ma cibo umile della tradizione contadina.
    Ne I mangiatori di patate il piatto al centro del tavolo, pur non essendo posizionato in un ruolo di primo piano, è in realtà il vero protagonista. Lo è non solo per la sua presenza nel titolo, ma perché fa da reale perno alla composizione, in quanto i commensali vi ruotano attorno; perché è l’elemento che, ancor più del vestiario e delle mura domestiche, racconta l’estrazione sociale dei personaggi; perché è il soggetto principale ad essere illuminato dall’unica fonte di luce che, al contrario, lascia in penombra tanto i personaggi quanto le pareti della stanza, i cui colori cupi e terrosi accentuano la modestia dell’ambiente. Ma soprattutto è il protagonista del rito a cui assistiamo, quello del pasto serale, che nonostante l’estrema povertà raccontata, caricandosi di un’energia quasi sacra, restituisce una sensazione di grandissima dignità.